giovedì 9 febbraio 2012

COME ABBEVERARSI AL POZZO CHE SI HA DENTRO DI SE'


COME ABBEVERARSI AL POZZO CHE SI HA DENTRO DI SE’.

Sento spesso il merlo fuori dalla finestra. Pizzica la polpa colorata dei cachi. Dipinge la neve con ciò che gli sfugge dal becco, mentre sorvola le aiuole. L’asfalto sbriciolato fa capolino dal freddo, e guarda. Spettatore di petrolio, con gli occhi bui spalancati, sembra sorridere, ma tace.
Io esco di casa, compiacendomi delle gambe e dei piedi. Uno dopo l’altro, i passi diventano un discorso tra me e il mondo. Che risponde sempre, mai lasciandomi solo. Ecco le persone vicino a me: altri discorsi, altre lingue, altre gambe, altri desideri. L’aria che ci scambiamo coi respiri, gli sguardi che osiamo posare sugli occhi dell’altro, le punte dei piedi sembrano pupazzi che giocano a nascondino. Mi domando come abbeverarsi al pozzo che ognuno ha dentro di sé. Forse dobbiamo darci una mano. Forse fa freddo là sotto. E il buio va accarezzato. Provo a calarmi laggiù come fa il merlo quando lascia il ramo, senza la paura del vuoto. E mi sembra davvero di volare. Più scendo negli abissi e più mi sembra di toccare il cielo. Poi l’acqua. E’ pioggia? Non importa, bevo.

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